Ruota attorno a tre semplici numeri, la proposta più geniale da spiegare agli italiani: da ogni casa, da ogni luogo di lavoro e di studio si dovrebbero vedere almeno 3 alberi; ogni quartiere dovrebbe avere almeno il 30% di superficie coperta da alberi; ogni casa, scuola e ufficio dovrebbero avere un parco a non più di 300 metri di distanza.
La proposta fa il paio per chiarezza e appeal con quella della città a 15 minuti, un modello di pianificazione urbana che prevede che i bisogni degli abitanti possano essere soddisfatti andando a piedi o in bici e, proprio come questa, si appoggia su una base scientifica solida.
Sono infatti innumerevoli gli studi che dimostrano come gli spazi verdi urbani e la vegetazione urbana sono tra le Nature based solution più efficaci per affrontare i cambiamenti climatici, l’inquinamento, le patologie mentali e fisiche, e la perdita di biodiversità.
Cominciamo dai cambiamenti climatici che proprio nelle città, a causa dell’effetto da isola di calore, fanno sentire con ancora più forza i loro effetti: gli alberi regalano ombra e contribuiscono a controllare i livelli di umidità, due fattori essenziali per l’adattamento e la mitigazione al riscaldamento globale.
Le piante e la vegetazione hanno poi un ruolo nella riduzione degli inquinanti, specie quelli da particolato e quelli correlato all’esposizione agli ultravioletti e contribuiscono a migliorare la salute fisica e mentale delle persone che vivono in città.
Fisica, perché nei parchi bambini, adulti e anziani possono socializzare, muoversi e fare attività senza timori per la propria incolumità, e mentale, perché il contatto con alberi e verde ha effetti positivi sull’umore, sul sistema immunitario e sui livelli di ansia e stress.
Tutte cose che sono note da sempre e che hanno acquisito una rilevanza ancora maggiore durante la pandemia da SARs-CoV-2, quando gli spazi verdi urbani che non erano stati chiusi hanno fornito spazi di evasione ai residenti urbani davvero fondamentali.
Purtroppo, nonostante tutti questi contributi, il ruolo degli spazi verdi urbani e della vegetazione urbana non è ancora pienamente riconosciuto.
La densificazione e lo sprawl spesso comportano la perdita o la frammentazione del verde urbano, e conducono di frequente a disuguaglianze nell’accesso alle aree verdi e ai parchi, con le zone più ricche che assomigliano sempre di più a vere e proprie foreste urbane e quelle più povere che si devono accontentare di qualche alberello schiacciato tra auto in sosta e marciapiedi roventi.
Ecco allora che la proposta 3-30-300 assume ancora più validità, considerando che, per come è strutturata, tiene in considerazione anche la distribuzione del verde nei contesti urbani, andando così a evitare che rimanga concentrato in pochi quartieri.
Tuttavia, come sottolinea Etifor, spin-off dell’Università di Padova specializzato in consulenza, progettazione, ricerca e formazione in ambito ambientale, non è facile inserire un progetto 3-30-300 in un contesto già costruito e ogni progetto deve comunque tenere conto delle specificità sociali, ambientali ed ecologiche del luogo.
Proprio per questo, Etifor, assieme ad altri partner, ha promosso il progetto Uforest, che punta a sviluppare un nuovo approccio alla selvicoltura urbana attraverso la creazione di attività che coinvolgono università, amministrazioni e imprese a livello europeo.
In particolare, Etifor vuole definire un piano di azione per attuare la 3-30-300, prevendendo anche occasioni di formazione multidisciplinare per i professionisti che ci aiuteranno a creare città più verdi.