8 Maggio 2024
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La casa bio sarà fatta di canapa, legno, lana e forse (ma forse) anche di alghe

Con gli scarti di diverse filiere, i ricercatori stanno mettendo a punto dei materiali interessanti per costruire case più ecologiche. Ne parliamo con i ricercatori che prediligono alcune soluzioni piuttosto che altre. Ecco perché...

Tempo di lettura: 3 minuti

Ragionare su come adeguarci alla direttiva Ue in discussione in questi ultimi mesi per trasformare il patrimonio immobiliare in case green vuol dire pensare anche a nuove soluzioni che la bioedilizia sta mettendo sul mercato in ottica di una vera decarbonizzazione del settore.

I centri di ricerca (bella notizia, in Italia ce ne sono assai) sono in fermento per studiare nuove soluzioni che rispondono in primis a due parametri: uso di scarti e bassissima impronta carbonico/ambientale.

Le ricerche però non possono prescindere dalla disponibilità di questi scarti da riutilizzare che devono quindi essere abbondanti e facilmente recuperabili.

Il legno – meglio gli scarti del legno – è sicuramente la materia principe della bioedilizia del futuro. Lo afferma senza remore Giorgio Matteucci, direttore dell’Istituto per la BioEconomia del Cnr che spiega “in Italia si può contare su 2 milioni di tonnellate di legno recuperate dal riciclo“.

Lo raggiungiamo nei suoi laboratori di Cosenza per chiedergli se invece non stiano analizzando le potenzialità delle alghe – molto di moda ultimamente e sotto osservazione dal mercato – da usare per “costruire buone case“. Matteucci è scettico. Di fatto il Cnr al momento non sta prendendo in seria considerazione l’alga come materiale da costruzione.

Anche la ricercatrice Vincenza Luprano non si scompone sul possibile uso delle alghe. Forse per quantità, ovvero per disponibilità. Lei lavora in Enea al dipartimento di Sostenibilità di Brindisi all’interno del Laboratorio Materiali Funzionali e Tecnologie per Applicazioni Sostenibili.

Alcuni suoi colleghi hanno portato avanti vari studi di fattibilità per l’uso di alghe spiaggiate (la ormai famosa Posidonia) e sono anche arrivati a produrre della bioplastica.

Ma in bioedilizia non ci sono ricerche attive. Piuttosto, per la Luprano altri sono i materiali promettenti, come ci racconta.

Negli ultimi anni abbiamo focalizzato le nostre ricerche sui materiali naturali sia di origine vegetale (come la canapa e la paglia) che di origine animale come la lana che possono essere utilizzati come isolanti termici al posto di quelli più usati di origine petrolchimica.

Stiamo studiando anche il comportamento termoigrometrico di mattoni in calcecanapulo, in collaborazione con il Politecnico di Milano, sia in laboratorio che in edifici esistenti. Il canapulo è lo scarto legnoso del fusto della pianta della canapa, la lana invece è quella proveniente dalla tosa delle pecore, detta lana sucida, che adesso è considerata rifiuto da smaltire.

Siamo partiti da indagine di mercato tra le maggiori aziende italiane produttrici di isolanti naturali già impegnate nel settore della riqualificazione energetica con caratteristiche di isolamento termoacustico confrontabili con quelle di origine petrolchimica e abbiamo incrociato queste informazioni con quelli che sono gli scarti maggiori nella nostra regione, la Puglia.

Selezionati i materiali abbiamo studiato il loro comportamento chimico-fisico nei nostri laboratori (reazione al fuoco, conducibilità termica, durabilità) e anche in campo per valutare effettivamente le loro funzionalità anche nel tempo“.

Ma in futuro le alghe potrebbero venire esaminate anche per costruire case? Ovvero, come si accendono gli studi e da dove partite per valutare se uno scarto potrebbe essere un buon soggetto da prendere in considerazione?

È ancora la Luprano che ci risponde: “Enea è da anni impegnata a favorire la revisione dell’attuale modello produttivo anche nel settore delle costruzioni per migliorare la gestione dell’intera catena del valore e del relativo flusso di rifiuti cercando di adeguare la fase di design prevedendo l’utilizzo di materiali di scarto, materie prime seconde, provenienti anche da altri settori produttivi possibilmente vicini territorialmente.

Nel centro ricerche Enea situato a Brindisi, dove lavora un gruppo di ricercatori impegnati nello studio di materiali sostenibili per il settore edilizio con particolare attenzione alla valutazione delle loro prestazioni in condizioni climatiche mediterranee (caldo- umido), abbiamo selezionato i materiali naturali coibentanti più idonei partendo dallo studio dell’intero ciclo di vita e della loro provenienza, in modo da costruire insieme alle imprese del territorio un approccio virtuoso di economia circolare e simbiosi industriale quanto più possibile a km0“.

Proviamo, dunque a riassumere con la ricercatrice i presupposti perché la bioedilizia funzioni: “L’edilizia ha bisogno dello sviluppo di prodotti e processi per una corretta realizzazione di nuovi edifici e/o di interventi di riqualificazione volti alla riduzione di impatto, ma anche sviluppo di servizi, analisi di filiere, coinvolgimento di stakeholder e supporto a percorsi di progettazione di politiche territoriali efficaci e l’Enea sta supportando questo tipo di transizione verso la decarbonizzazione anche studiando il comportamento e la funzionalità dei materiali in opera per un supporto tecnico scientifico volto ai professionisti e imprese che vogliano confrontarsi con tali prodotti.

Non di meno è fondamentale collegare tutte queste azioni con la responsabilità personale di ognuno di noi che è chiamato a fare la sua parte perché abitiamo le nostre case e possiamo dare un importante contributo al risparmio di CO2 attraverso comportamenti corretti o scelte precise anche nella selezione dei materiali come committenti“.

Perché la bioedilizia funzioni, insomma, è quanto mai necessario continuare a sperimentare, ma anche a divulgare le informazioni scientifiche perché ci possa essere quel cambio culturale diffuso, l’unico in grado di decretare la difesa reale del nostro Pianeta.