Se non fosse per il rischio di far salire troppo la pressione, verrebbe da suggerire agli appassionati di caffè che forse farebbero bene a concedersi, ogni tanto, qualche tazzina in più.
Il rischio è infatti che, tra qualche anno, per colpa dei cambiamenti climatici, il caffè diventi un bene sempre più prezioso e difficile da trovare.
È quanto emerge da Expected global suitability of coffee, cashew and avocado due to climate change, uno studio pubblicato su PlosOne che ha simulato gli impatti del riscaldamento globale su tre colture, anacardo, avocado e, appunto, caffè.
I ricercatori si sono concentrati sui quattro principali paesi produttori di ogni coltura: Brasile, Vietnam, Indonesia e Colombia producono insieme il 64% del caffè totale del mondo, anche se in Vietnam e Indonesia si coltiva soprattutto la robusta e non l’arabica.
Gli autori della ricerca hanno usato tre scenari emissivi – l’Rcp2.6, l’Rcp4.5, che a oggi è quello più coerente con gli attuali livelli di emissioni, e l’Rcp8.5 – per simulare gli andamenti delle temperature e le variazioni nei regimi delle piogge.
Già con lo scenario Rcp4.5 si registreranno modifiche dell’area in cui vengono coltivate le tre piante e, nonostante ci saranno delle zone che si amplieranno, il risultato complessivo è un calo delle aree adatte per le colture.
Il caffè, purtroppo, è quella destinata a soffrire di più: in Brasile, per esempio, si stima che andrà perso circa l’80% delle superfici coltivabili. Questi cambiamenti avranno impatti pesanti sulle vite degli agricoltori, che spesso dipendono da queste colture per i loro mezzi di sussistenza, ma andranno a pesare anche su costi e disponibilità di questi beni.
Fattori di cui è opportuno tenere conto anche nel nostro Paese, che non ha rivali nel mondo per quanto in fatto di tradizioni e cultura del caffè. La conferma è arrivata persino dall’Unesco, che di recente ha approvato la candidatura del caffè espresso a patrimonio immateriale dell’umanità.
Un riconoscimento, se arrivasse, che andrebbe a premiare un settore che in Italia, secondo i dati di Consorzio Promozione Caffè, vanta 800 torrefattori, più di 7.000 dipendenti e che, nonostante la pandemia, genera un fatturato di 3,6 miliardi di euro.
Numeri importanti per un settore che va protetto dai furbi che vogliono approfittare del trend in direzione della sostenibilità, ed evitare che anche nel nostro paese si ripeta quello che è successo in Canada.
Keurig Canada, un produttore di caffè americano, si è visto infatti comminare una multa da 3 milioni di dollari canadesi (più 800.000 da versare a una Ong impegnata nella protezione dell’ambiente) per dichiarazioni false sulla riciclabilità delle capsule di caffè che produceva: dalle indagini è infatti emerso che le capsule potevano essere riciclate solo in due impianti in tutto il Canada.
Oltre alle sanzioni pecuniarie, la società dovrà modificare la propria comunicazione sulla riciclabilità delle capsule, dandone notizia sui propri siti, canali social, newsletter e organi di informazione locali e nazionali.