26 Aprile 2024
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Guanti e mascherine: dove finiscono dopo l’utilizzo?

Dall’inizio della pandemia COVID-19 sono stati utilizzati milioni di dispositivi medici quali guanti e mascherine in tutto il mondo e ad oggi si cerca ancora una soluzione efficace per il loro smaltimento.

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Come ben sappiamo, mascherine e guanti sono tra i protagonisti della pandemia di COVID-19 scoppiata nella prima metà del 2020: si è a lungo parlato della loro efficacia, dei diversi modelli in commercio e di come e quando indossarli. Ormai sappiamo quasi tutto sul loro utilizzo, mentre rimangono ancora alcuni punti da chiarire in merito al loro smaltimento.

Se i dispositivi di protezione individuale, questa l’esatta dicitura, continuassero a non essere smaltiti tramite appositi sistemi ad hoc, si potrebbe presto andare incontro a importanti conseguenze sull’ambiente – essendo la maggior parte di essi realizzati in fibre di polipropilene, poliestere, lattice, nitrile, Pvc o altri materiali sintetici.

Per dare un’idea concreta del possibile danno ambientale ricorriamo ai numeri: l’organismo commerciale dell’ONU, l’UNCTAD, ha stimato che nel 2020 le vendite globali delle mascherine ammonteranno a circa 166 miliardi di dollari. Volendo fare un veloce raffronto per sottolineare l’aumento esponenziale a cui stiamo assistendo,nel 2019 le vendite sono state pari a 800 milioni di dollari circa. In particolare, in Italia, secondo uno studio del Politecnico di Torino, per la ripartenza serviranno 960 milioni di mascherine e mezzo miliardo di guanti. Facile quindi intuire l’importanza di un corretto smaltimento, dal momento che si stanno già registrando moltissimi casi di malcostume che portano queste protezioni personali a popolare i nostri mari, fiumi, campagne e strade. Anche ad alta quota sono state già ritrovate parecchie mascherine gettate lungo i sentieri o nei corsi d’acqua, dove possono causare un incremento della diffusione di microplastiche e diventare una minaccia per tutte le specie. Uno studio pubblicato da SystemIq, azienda che si occupa di sostenibilità, prevede che la quantità di plastica negli oceani potrebbe addirittura triplicare nel 2040, raggiungendo i 29 milioni di tonnellate all’anno, se non verranno prese misure concrete e immediate per invertire la tendenza.

Nuovi materiali, nuovi sistemi di smaltimento e tanto buonsenso

Una soluzione al problema dello smaltimento dei dpi potrebbe essere quella di creare dei dispositivi con materiali riciclabili, come stanno già facendo diverse realtà nel mondo. L’organizzazione A plastic planet e l’azienda D3CO di Lentate sul Seveso hanno già iniziato a produrre mascherine di qualità con materiali biodegradabili e riciclabili. Un buon modo per cercare di limitare i danni su un Pianeta già troppo martoriato dalle attività umane.

Vi è poi un’altra via da percorrere: come dimostrato da uno studio pubblicato sulla rivista Biofuels, il polipropilene contenuto nelle mascherine – un polimero utilizzato in molti oggetti di uso comune quali recipienti alimentari, tappi, etichette delle bottiglie di plastica, paraurti delle auto, capsule del caffè, ecc. – potrebbe essere convertito e riutilizzato per produrre biocarburante per i mezzi di trasporto.

È tuttavia sempre bene ricordare che, nell’attesa che vengano auspicabilmente implementate in tempi rapidi soluzioni ad hoc per lo smaltimento dei dpi, il singolo deve impegnarsi a fare la propria parte per la tutela dell’ambiente e della salute delle persone. Ad oggi, il semplice gesto di chiudere i dispositivi medici utilizzati in un sacchetto e gettarli nella raccolta indifferenziata o nei punti di raccolta allestiti può se non altro aiutare a ridurre l’impatto sulla nostra bellissima Terra.