Una delle poche notizie confortanti quando si pensa all’enormità della sfida dei cambiamenti climatici è che, per fortuna, le soluzioni per portare a zero emissioni il settore della produzione dell’energia esistono già oggi.
Oltre ovviamente a ridurre i consumi insistendo sull’efficienza energetica, si tratta di usare un mix di fonti e accumuli diversificato e coerente con le specificità dei territori su cui vanno a insistere.
Questo vale anche quando può succedere di dover fronteggiare delle emergenze, trovandosi così costretti a rimandare quegli investimenti che sono necessari per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione.
È quello che è successo con l’invasione russa dell’Ucraina che, tra le altre cose, ha imposto all’Unione europea di diversificare il più rapidamente possibile i suoi approvvigionamenti di gas: ecco allora che è cominciata una corsa frenetica a cercare nuovi fornitori tra Stati Uniti d’America, Norvegia, Qatar, Azerbaigian, Algeria, Egitto, Corea, Giappone, Nigeria, Turchia, Israele, corsa in cui è stato coinvolto anche il nostro governo.
Oltre al gas di origine fossile, in Italia è però già consolidata una filiera industriale capace di produrre biogas e biometano da matrici organiche (e quindi rinnovabili e con un bilancio del carbonio estremamente vantaggioso).
Secondo le stime presentate da Consorzio italiano biogas, potrebbe produrre al 2030 fino a 8,5 miliardi di metri cubi di biometano, pari a circa il 12-13% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale.
Recentemente è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il nuovo decreto biometano, che apre all’attuazione delle misure previste dal Pnrr a supporto del settore.
Il decreto definisce le misure di incentivazione per il comparto, da erogare attraverso procedure competitive pubbliche. Gli incentivi andranno a sostegno della riconversione e dell’efficientamento degli impianti a biogas agricolo già esistenti in Italia, per convertirli alla produzione totale o parziale di biometano e supporteranno la costruzione di nuove centrali per la produzione di biometano alimentate da matrici agricole o rifiuti organici.
Il decreto ha poi introdotto la possibilità di usare negli impianti di biogas sottoprodotti dell’industria agroalimentare fino a oggi non impiegabili: tra questi, anche gli scarti dal processo di lavorazione del caffè e, in particolare, la coffee silverskin, una pellicola argentea che protegge l’esterno del chicco di caffè verde che si stacca sia durante l’essiccamento e la rimozione dei semi di caffè dai frutti sia durante la torrefazione.
Dei possibili sviluppi di questa filiera si è parlato nel corso di una tavola rotonda che si è tenuta nell’ambito della decima edizione di TriestEspresso Expo, il salone internazionale dell’espresso italiano che si è svolto presso il Trieste Convention Center. Nel corso dell’incontro sono state presentate diverse aziende che sono riuscite a trasformare gli scarti da un costo di smaltimento a un valore.
Altro settore molto promettente è quello che prevede lo sfruttamento degli impianti dedicati al trattamento delle acque reflue industriali.
La partnership avviata tra Sebigas – società specializzata nel biogas – e la statunitense Headworks International – azienda specializzata nelle tecnologie per il trattamento degli effluenti liquidi industriali e municipali – prevede l’impiego del reattore anaerobico Moving Bed Bio Film Reactor (Mbbr) EnergyCell.
L’Mbbr può essere usato nei nuovi impianti di gestione dei reflui o per il retrofitting di impianti di trattamento esistente e consente alle aziende di perseguire un percorso di circolarità in cui i reflui industriali vengono sfruttati per produrre energia che viene reimmessa in azienda.
La soluzione è indicata per il trattamento di alti volumi di refluo in impianto, utilizzando spazi estremamente ridotti. Si tratta di una soluzione circolare che consente di abbattere il carico organico presente nei reflui industriali e di produrre energia da biogas, un’alternativa sostenibile per gli autoconsumi elettrici e termici.