Tra ritardi, treni cancellati senza preavviso, guasti misteriosi e scioperi ricorrenti, la vita dei pendolari spesso assomiglia a una corsa a ostacoli in cui ogni giorno è diverso dagli altri. Sì, perché in Italia muoversi in treno per recarsi al lavoro è tutto fuorché facile e i segnali, nonostante qualche piccolo miglioramento, non sono assolutamente incoraggianti.
È quanto denuncia Legambiente nell’edizione 2023 del Rapporto Pendolaria, che come ogni anno fa il punto sullo stato del trasporto su ferro, quindi treni, tranvie e metropolitane, nel nostro Paese. Il dato da cui si può partire è quello delle nuove inaugurazioni di nuovi binari in città, che dal 2018 al 2022 sono state complessivamente inadeguate, qualche centinaio di metri nel 2018 e zero assoluto tra il 2019 e il 2020, con una timida ripresa nel 2021 (1,7 km) e nel 2022, 5,3 km, grazie all’apertura della prima tratta della Linea 4 della Metropolitana a Milano.
Il rapporto conferma poi il cronico divario tra Nord e Sud del Paese e certifica che, nonostante gli impatti di inquinamento e cambiamenti climatici siano sempre più evidenti, la politica continua a puntare sul trasporto su gomma: secondo i dati del Conto nazionale trasporti, dal 2010 al 2020 sono stati realizzati 310 km di autostrade, a cui si aggiungono migliaia di chilometri di strade nazionali, a fronte di 91 chilometri di metropolitane e 63 km di tranvie.
Una delle principali criticità individuate nello studio è lo scarso impegno delle Regioni, che nel 2021 hanno investito lo 0,57% dei bilanci regionali, in crescita rispetto allo 0,34% del 2020, ma in diminuzione rispetto allo 0,65% del 2019.
Non mancano, per fortuna, notizie positive, come l’istituzione con la Legge di Bilancio 2022 del Fondo per la strategia di mobilità sostenibile, che mette a disposizione 2 miliardi di euro per ridurre le emissioni di gas serra del settore dei trasporti e i nuovi finanziamenti per l’acquisto di treni regionali e per l’ammodernamento delle linee locali: tutte risorse importanti e tuttavia, secondo Legambiente, occorrerebbe stanziare almeno 2 miliardi di euro all’anno da qui fino al 2030.
Si tratta di misure sempre più necessarie, considerato che, con 666 auto per 1.000 abitanti, il nostro Paese è al secondo posto in Europa per il più alto tasso di motorizzazione, dopo il Lussemburgo. Con effetti evidenti sulle emissioni, dato che in Italia i trasporti sono responsabili di oltre il 25% delle emissioni totali nazionali di gas serra e quasi tutte (93%) provengono dal trasporto su gomma, con il 70% di queste riconducibile alle automobili.
Oltre al potenziamento del trasporto su ferro, una misura che dà risultati anche nel breve periodo è la diffusione dello smart working: a certificarlo è uno studio condotto dall’Enea e pubblicato sulla rivista Applied Sciences, che ha coinvolto 1.269 lavoratori agili delle Pubblica amministrazione a Roma, Torino, Bologna e Trento nel quadriennio 2015-2018.
In particolare, lo studio ha preso come base una suddivisione con tre giorni in presenza e 2 in smart e ha certificato che ogni giorno di lavoro a distanza permetterebbe di evitare 6 kg di emissioni dirette in atmosfera di CO2 e di ridurre ossidi di azoto, monossido di carbonio, PM10 e PM2,5.
In un anno, si potrebbe evitare di emettere circa 600 chilogrammi di anidride carbonica per lavoratore, con notevoli risparmi i termini di tempo (circa 150 ore), distanza percorsa (3.500 km) e carburante (260 litri di benzina o 237 litri di gasolio). Con miglioramenti sensibili della qualità della vita dei lavoratori e della vivibilità dei centri urbani, che potrebbero (finalmente) vedere ridotto l’assedio di auto e mezzi a motore.