4 Giugno 2023
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riscaldamento a pellet

Riscaldamento, attenzione alle finte rinnovabili

Oltre che per la loro capacità di generare l'energia pulita che serve a far funzionare le nostre case, le nostre aziende e il nostro sistema dei trasporti, le rinnovabili devono essere valutate anche in funzione dei loro impatti sulla biodiversità e il capitale naturale. E quando si inserisce questa variabile nell'equazione, risulta subito chiaro che alcune fonti non sono così green come potrebbe sembrare

Tempo di lettura: 2 minuti

L’aggressione russa all’Ucraina ha messo drammaticamente in evidenza le fragilità e le contraddizioni del sistema basato sui combustibili fossili, innescando una corsa frenetica alla diversificazione dei fornitori e, fortunatamente, delle fonti di energia.

Se da un lato la crescita delle rinnovabili non può che essere accolta con favore, dall’altro bisogna tenere alta l’attenzione per evitare che nello slancio verso le fonti pulite rientrino anche soluzioni che esattamente Green non sono.

Ed è proprio alla luce di queste considerazioni che può essere letta la recente decisione del Parlamento europeo, che ha approvato la proposta di direttiva sulle rinnovabili, portando al 45% la percentuale delle rinnovabili nei consumi finali di energia al 2030.

Se l’innalzamento dal 32% al 45% è positivo, meno lo è l’indicazione, data agli Stati membri, di fare in modo che l’energia da biomassa venga prodotta in modo da ridurre al minimo le distorsioni sul mercato di questi prodotti e i loro effetti negativi su clima e biodiversità, oltre che in ossequio al principio della cascata di priorità del loro utilizzo (dai prodotti a base di legno al prolungamento del loro ciclo di vita, seguiti dal riutilizzo, dal riciclo, con un ruolo residuale per le bioenergie e lo smaltimento).

Scelte, queste, fortemente criticate dalle associazioni ambientaliste, che sottolineano le ambiguità delle indicazioni dell’Europa: Green Impact, membro italiano della coalizione europea Forest Defenders Alliance (Fda), aveva già chiesto che la biomassa forestale venisse eliminata dalla Direttiva sulle Energie Rinnovabili e classificata come fonte energetica non rinnovabile, dando nel contempo priorità al riuso e riciclo di prodotti legnosi già esistenti invece di bruciare le foreste.

Questo perché, secondo gli studi raccolti dall’associazione, la combustione delle biomasse forestali genera grandi quantità di CO2 ed è responsabile della quasi totalità delle emissioni di particolato del settore residenziale, un inquinante responsabile di malattie respiratorie, anche croniche.

Inoltre, le biomasse forestali, per quanto gestite in maniera responsabile, sono comunque problematiche dal punto di vista della perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici a esse associati.

Una foresta non è, infatti, un insieme di alberi che possono essere tagliati e bruciati, in attesa che quelli di nuova piantumazione crescano abbastanza per finire a loro volta nelle stufe.

Una foresta è un sistema di relazioni ecologiche tra animali, piante e microrganismi che, una volta che gli alberi sono stati tagliati, sono praticamente impossibili da ricreare. Ecco allora che in nessun caso le foreste dovrebbero essere tagliate e il pellet dovrebbe invece essere prodotto solo dagli scarti della lavorazione del legname.

E proprio questo è uno dei tasselli della strategia elaborata da Uncem – Unione Nazionale Comuni, Comunità ed Enti montani Piemonte, che con il progetto Cuneo Pellet vuole sviluppare una filiera del pellet basata sul recupero degli scarti di lavorazione locali, così da ridurre le importazioni dall’estero.

Il nostro Paese, con circa 3,5 Mt di pellet consumato, è il leader mondiale dell’impiego nell’uso residenziale del pellet per riscaldamento e soddisfa l’80% di questo fabbisogno attraverso le importazioni, con tutti i rischi sistemici e i costi che ciò comporta.

Tra gli altri obiettivi del progetto, che si rivolge ad aziende produttrici di pellet, imprese di utilizzatori forestali e proprietari di aree boschive dell’area del cuneese, ci sono l’individuazione di forme di cooperazione verticale e orizzontale tra gli operatori, oltre che di tecnologie in grado di ottimizzare l’impiego dei sottoprodotti legnosi e creare in modo efficiente un cippato di qualità elevata.