28 Marzo 2024
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rifiuti spaziali

Detriti spaziali, c’è anche chi li acchiappa

Non contenti di aver inquinato aria, suoli e acque, da qualche anno abbiamo iniziato a disseminare rifiuti anche nello spazio intorno a noi. Certo, si tratta di una frazione infinitesimale dell'universo, ma i rifiuti che orbitano attorno al nostro Pianeta stanno diventando un problema per l'industria aerospaziale. Il nostro Paese guida la corsa alla ricerca di soluzioni, con startup innovative che propongono tecnologie all'avanguardia

Tempo di lettura: 2 minuti

Se siete abbastanza fortunati da vivere in una zona con poco inquinamento luminoso, guardando il cielo notturno rimarrete incantati dalla quantità di stelle. Ma fate attenzione, perché non tutto quello che brilla nel cielo di notte è effettivamente una stella. Piuttosto un satellite artificiale.

Secondo l’Agenzia spaziale europea dal 1957 abbiamo, infatti, lanciato in orbita quasi 12.200 satelliti, che oltre a fornire tutta una serie di servizi sempre più essenziali (dalle telecomunicazioni al monitoraggio del Sistema Terra, oltre ovviamente allo spionaggio), generano purtroppo una quantità crescente di rifiuti spaziali.

Sempre secondo i dati dell’Ewq, oggi dei 7.360 ancora in orbita ne rimangono attivi ancora 4.700: questo significa che ci sono circa 3.000 oggetti che orbitano il nostro pianeta a velocità inconcepibili (solo per fare un esempio, la Stazione spaziale internazionale si sposta a più di 27.000 chilometri all’ora), sufficienti a danneggiare altri oggetti con cui entrano in collisione.

Si stima che in orbita ci siano oggi almeno 29.000 oggetti grandi più di 10 centimetri, 670.000 tra 1 a 10 centimetri e più di 170 milioni tra 1 centimetro e 1 millimetro. Con rischi non trascurabili: per tornare ancora alla Stazione spaziale internazionale, dal 1999 al maggio 2021 la Iss ha dovuto effettuare 29 manovre per evitare i detriti, di cui tre solo nel 2020.

Per affrontare questo problema, una società di Imola (Bologna) – la Npc – ha sviluppato una vela solare, chiamata Artica (acronimo di Aerodynamic reentry technology in cubesat application) che consente ai piccoli satelliti di effettuare il de-orbiting al termine della loro missione, cioè ridurre la quota e di bruciare a contatto con gli strati più alti dell’atmosfera, riducendo così la quantità di detriti orbitanti.

Oltre che nella fase di rientro, la vela, che ha una superficie di 2,1 metri quadrati ed è realizzata in mylar alluminizzato, lavora anche nell’orbita alta, dove sfrutta la pressione della radiazione solare per modificare l’orbita del satellite.

A oggi, Artica è impiegata su Alpha, un nanosatellite a forma di cubo di 10 centimetri di lato e un peso di 1,2 chilogrammi realizzato da un gruppo di startup italiane, ma nei prossimi mesi è prevista la messa in orbita di altri quattro nanosatelliti, tutti dotati della vela solare italiana.